Testimonianze
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Questa è la storia di Emma, una bambina che ha combattuto contro il citomegalovirus dal suo primo giorno di vita. Emma oggi ha 7 anni, frequenta la seconda elementare ed ha un piccolo segreto che racconta solo ai suoi amichetti del cuore (almeno lei ha deciso così): sente solo da un orecchio. E per lei è la sua caratteristica speciale.
Nella primavera del 2013 è iniziata la mia seconda gravidanza e tutto è andato benissimo fino al giorno dell’ecografia morfologica…. Un giorno che doveva essere speciale, visto che avevamo portato con noi anche il fratello maggiore di Emma. Nel corso dell’ecografia (20° settimana di gravidanza) ginecologa chiede a mio marito di uscire con nostro figlio di 5 anni perché voleva parlarmi…. Non capivo cosa stesse succedendo e ricordo quel dialogo come un incubo, sento ancora le parole lontane ed incomprensibili della dottoressa che mi spiegava che sembrava ci fossero problemi al cuore e, soprattutto, la presenza di un’ascite fetale, ovvero un versamento di liquido nell’addome della mia piccola.
La cosa più terribile che mi disse fu che era difficile capirne la causa e soprattutto era difficile prevedere l’esito e se la gravidanza potesse andare avanti. Da quel giorno fino al momento del parto abbiamo vissuto mesi di tensione, impotenza, confusione…. Nessuno ha mai saputo dirci con precisione quale fosse la causa di quella situazione e cosa dovessimo fare.
Mi sono sottoposta a diverse analisi, è stato nuovamente analizzato il liquido prelevato durante l’amniocentesi, ma nessuno (e sottolineo nessuno!) ha saputo dare una spiegazione. Solo tanti “forse”.
In questo caso ho potuto riscontrare come la maggior parte dei medici si affida a statistiche che purtroppo andrebbero solo prese a riferimento… lo sforzo dovrebbe essere quello di analizzare il singolo caso, ma forse è troppo faticoso.
Io avevo iniziato la gravidanza avendo già avuto il citomegalovirus e quindi già sembrava strana una riattivazione del virus; a maggior ragione sembrava assurdo che il virus avesse infettato anche il feto, attraversando la placenta. E siccome le statistiche dicono che le probabilità che questo accada sono bassissime…. Allora tutti concentrati a cercare le cause da altre parti!
La cosa positiva fu che, contemporaneamente al virus, stavo passando a mia figlia anche gli anticorpi che io avevo già sviluppato e questo ha comportato che l’ascite fetale si sia ridotta man mano, fino quasi a scomparire del tutto al momento del parto. Andai in ospedale fiduciosa che tutto fosse passato, ma certo non aver avuto la certezza di cosa fosse successo non mi faceva stare tranquilla…. però volevo essere ottimista e mai avrei creduto che il peggio doveva ancora arrivare.
Nostra figlia è nata sintomatica, cosa ancora meno probabile per le statistiche di cui sopra…. Aveva petecchie ovunque, un indice Apgar abbastanza basso, un’epatite da citomegalovirus e fu subito trasferita nel reparto di patologia neonatale. Da quel giorno iniziarono 40 giorni di ricovero durante i quali apprendemmo che nostra figlia era nata con un’infezione da citomegalovirus congenita, anche abbastanza severa, che ci venne comunicata come se fosse una cosa normale, ma alla quale noi non eravamo assolutamente preparati. Emma è stata sottoposta ad un lungo ciclo di antivirali per via endovenosa che mi impedivano anche di tenerla in braccio per allattarla (far resistere per tanti giorni un catetere in un neonato non è cosa così semplice).
Dopo il lungo e difficile ricovero, solo al momento delle dimissioni ci è stato detto che l’orecchio sinistro di Emma sembrava essere sordo… e sottolineo “sembrava” in quanto anche in questo caso, la comunicazione fu vaga e frettolosa. L’unica cosa che ci fu comunicata chiaramente fu che Emma non aveva più alcun bisogno di continuare la terapia antivirale, poiché il protocollo non lo prevedeva.
Tornammo a casa completamente disorientati e persi. Per fortuna, una mia amica che aveva vissuto qualche anno prima l’esperienza di una prima infezione da cmv in gravidanza mi parlò del Professor Nigro.
Andammo dal Professore che ci mise di fronte ad una realtà che non ci aspettavamo…. Emma aveva valori alti di virus nel sangue e nelle urine, abbandonare la terapia antivirale l’avrebbe sicuramente portata ad un peggioramento dell’udito (e ancora non sapevamo con esattezza quale fosse la situazione di entrambi gli orecchi) e soprattutto avrebbe potuto provocare ulteriori danni che in quel momento era difficile prevedere….
Decidemmo, contro qualsiasi “protocollo” e supportati dalla nostra pediatra che ci ha sempre sostenuto, di iniziare un lungo ciclo di terapia antivirale che Emma ha seguito fino all’età di un anno e mezzo. Nel frattempo seguivamo con apprensione la crescita della nostra piccola, aiutandola con esercizi quotidiani a muovere e sostenere il capo, chiedendoci se e quando avrebbe camminato, se e quando avrebbe parlato, se e quando ci avrebbero diagnosticato dei problemi cognitivi… consapevoli che il follow-up di questi bambini in genere dura fino agli 8 anni!
Al compimento dell’anno ci siamo rivolti, su indicazione del professor Nigro, all’ospedale di Piacenza, dove c’è una struttura di eccellenza per le sordità, all’avanguardia nel campo degli impianti cocleari. Al Bambin Gesù di Roma, il controllo audiologico ci aveva confermato la sordità dell’orecchio sinistro senza darci indicazioni di alcun genere su possibili ulteriori approfondimenti o interventi. Semplicemente la risposta alla domanda “cosa possiamo fare?” fu “niente”, senza una parola di più.
A Piacenza Emma è stata sottoposta a moltissimi esami, compresa una RM cerebrale che ha scongiurato ulteriori problematiche. Abbiamo capito che al momento non c’era nulla da fare se non monitorare la crescita di Emma ed il suo sviluppo del linguaggio, che si è rivelato assolutamente nella norma.
Insomma, la “bambina con un orecchio solo” ha iniziato a parlare e a fare ragionamenti logici proprio come se sentisse con entrambe le orecchie, il suo cervello si è adattato alle risorse di cui disponeva!
Ora Emma è abbastanza grande da sapere che sentire con uno o due orecchie è molto diverso, è consapevole che se si sdraia appoggiandosi sul suo orecchio “buono” non sente quello che gli diciamo. A scuola dobbiamo per correttezza spiegare questa peculiarità di Emma, altrimenti nessun insegnante se ne accorgerebbe.
Emma è una bambina intelligente e felice e di questo mi sento di ringraziare la pediatra che ci inviato dal professor Nigro, senza il quale non avremmo intrapreso quel percorso che non ha consentito al terribile cmv di fare tanti altri danni.
Ogni volta che parlo con un medico racconto questa storia perché tutti dovrebbero capire quanto è pericoloso sottovalutare il cmv; la superficialità della maggioranza ancora mi colpisce e mi ferisce… pensare che non si debba fare nulla perché appartieni a quella bassa percentuale in cui, in una riattivazione del virus, il feto viene infettato e il bambino nasce sintomatico e con dei danni è assurdo! Siccome capita in rari casi, possiamo anche non fare nulla no? Quando sono stata più forte da poter parlare di tutto questo ho chiesto a diversi medici perché nessuno avesse voluto approfondire cosa stesse succedendo durante la gravidanza, perché nessuno avesse pensato al cmv e me ne avesse parlato (anzi, mi veniva detto che NON poteva essere il cmv visto che dalle ecografie il cervello si stava sviluppando correttamente), perché nessuno mi avesse indirizzato verso il professor Nigro e la terapia di immunoglobuline (con le quali forse Emma sarebbe nata perfettamente sana)??
L’unica risposta che ho ottenuto è stata: la sua scelta poteva essere solo quella di abortire…
Insomma, pur di non suggerire ad una madre una terapia che non rientra nel “protocollo” (presumibilmente per ignoranza di chi li prepara), si accetta di considerare l’aborto come unica alternativa. Credo che Ippocrate si sia rivoltato tante volte nella tomba.
Nel 2001, all’inizio del 6° mese della mia desiderata gravidanza, iniziai ad avere dei forti malesseri che mi costrinsero, con minacce di parto prematuro, ad un prolungato ricovero presso il Policlinico Umberto I° di Roma. Nonostante le accurate indagini diagnostiche non fu riscontrata un’infezione da Citomegalovirus. Ritengo che essendo il test sul CMV già risultato positivo solo nelle IgG al 3° mese di gravidanza, diversi medici considerarono inutile ripetere l’analisi nel proseguo della gravidanza e durante il ricovero. Ma ben presto imparai che il CMV, della famiglia degli herpes virus, non produce mai immunità completa. Nel mio sfortunato caso, come conseguenza dell’abbassamento delle difese immunitarie, si riattivò passando al feto. Questo è ciò che accadde a Federico, nato alla 31° settimana ed immediatamente trasferito all’ospedale Bambino Gesù, dove dopo pochi giorni gli fu diagnosticato il CMV in tutta la sua gravità. Gli esami indicarono splenomegalia, piastrinopenia e ipoacusia grave bilaterale. Ma in particolar modo, varie ecografie indicarono calcificazioni all’encefalo ed altre problematiche cerebrali. Gli venne somministrato per venti giorni un potente antivirale per endovena, ma poi dimesso nonostante la carica virale fosse ancora ben presente, vista l’impossibilità di ottenere ulteriori miglioramenti del quadro clinico. Il velato suggerimento, fu di rassegnarsi e contare i danni.
Ma su consiglio della mia ginecologa ci rivolgemmo al Prof. Giovanni Nigro che, visitato il bambino ed esaminate le cartelle cliniche, ci rassicurò sul fatto che Federico aveva buone possibilità, a condizione di proseguire, sotto la sua supervisione, la stessa terapia antivirale per via orale.Grande fu la nostra preoccupazione data la natura del farmaco, tra l’altro destinato a persone adulte e con la descrizione di pesanti controindicazioni. Ma confidando nell’esperienza del Prof. Nigro intraprendemmo con fiducia la strada che ci veniva indicata. In qualche mese ottenemmo la riduzione ed in seguito la negatività nel sangue ma soprattutto evitammo che il virus potesse continuare a fare danni peggiori.
Oggi Federico ha 19 anni e credo fermamente che sia un ragazzo speciale, che ha dimostrato una forte e positiva reattività nei confronti della malattia e di tutto ciò che gli ha comportato tra continue visite e prelievi. Ciò che rimane è un’ipoacusia presente all’orecchio destro. Ma è un ragazzo sano, sereno, soprattutto intelligente e con una spiccata sensibilità. Spero e prego sempre affinché nessun bambino debba fare i conti con il CMV, ma dove la sfortuna si accanisce, consiglio di affidarsi e di lasciarsi aiutare dal Prof. Nigro, per il suo lungo ed articolato percorso professionale basato soprattutto sulla ricerca e comprovata esperienza clinica.
Non finirò mai di ringraziare il professore per averci ridato speranza prima ed un esito felice poi. Mi auguro, inoltre, che le istituzioni preposte agevolino chi, con passione e determinazione, da anni lotta quotidianamente contro questa fin troppo trascurata e triste realtà.
Isabella Corizi
Mi chiamo Fiammetta e vi voglio raccontare la storia di Flavia: una storia a lieto fine.
Tutto ha avuto inizio nel 2018. Ero in dolce attesa. Dopo il maschietto avuto tre anni prima, il test del DNA fetale ci confermava che a marzo 2019 la famiglia si sarebbe allargata con l’arrivo di una desideratissima bambina. Era il mio più grande sogno che si avverava. Non potevo essere più felice. Fino al 24 settembre 2019, data in cui andai a ritirare, un po’ in ritardo, le analisi del sangue del primo trimestre di gravidanza. Il commesso mi disse di tornare alle casse prima di poter ricevere la busta: c’era un esame aggiuntivo da saldare. Non pensai a nulla di preoccupante e mi recai agli sportelli. Qui appresi che nel mio sangue erano state riscontrate IgM anti-CMV positive con indice di avidità IgG basso. Il commesso cercò di tranquillizzarmi, ma scoppiai a piangere. Un enorme senso di inquietudine mi pervase. Fissai immediatamente un appuntamento nel pomeriggio con la ginecologa e nel frattempo iniziai a documentarmi. Furono sufficienti poche ore per capire che la mia disperazione aveva un fondamento: un indice di avidità basso era un segnale negativo. La mia era una prima infezione ed ero entrata in contatto da poco con il virus. Il CMV in gravidanza risultava essere tanto più pericoloso quanto più precocemente contratto. Subito mi imbattei nelle testimonianze di molte mamme, nei loro drammi, nelle loro scelte e nella possibilità di una cura con le immunoglobuline.
La ginecologa mi direzionò al San Matteo di Pavia. Così il 26 settembre ero nel dipartimento di Malattie Infettive al cospetto di un noto virologo specializzato in infezioni in gravidanza. Un brutto incubo aveva inizio (pochi giorni dopo, infatti, mi sarebbe stata confermata la diagnosi di infezione primaria da CMV periconcezionale: il caso peggiore). Ebbi subito la percezione che in quella sala d’ospedale non avrei trovato empatia o comprensione. Mi furono snocciolati freddi dati statistici e passaggi previsti per chi, come nel mio caso, aveva contratto il CMV in gravidanza: un prelievo, un confronto con il prelievo precedente, una amniocentesi investigativa per CMV da effettuarsi alla 20a settimana di gestazione e, in caso di amniocentesi positiva (ovvero nel 30% dei casi sfortunati in cui il feto era stato infettato), la possibilità di interrompere la gravidanza a seguito di due esami aggiuntivi: una cordocentesi e una risonanza magnetica fetale. Questi due esami avrebbero raccolto dei dati, cosiddetti ‘indici prognostici’. Se 3 su 4 fossero risultati patologici, ne avrebbero dedotto che il feto avrebbe quasi certamente riportato gravi danni cerebrali alla nascita. Tra una lacrima e l’altra io e il mio compagno, che solo due giorni prima eravamo stati travolti da questo tsunami inaspettato, cercammo di fare domande, di avere chiarimenti, tra cui quello in merito ad una cura. Mi sembrava assurdo dover stare con le mani legate in attesa della ventesima settimana per effettuare l’amniocentesi. Potevamo muoverci preventivamente? Eravamo disposti a tutto pur di salvare la nostra bambina. La risposta fu categorica: nessuna cura, almeno nessuna da loro ritenuta valida. E le immunoglobuline? Le menzionai io. ‘Inutili, spreco di denaro’, mi fu risposto in modo perentorio. Uscii dal San Matteo con il morale a pezzi, ma con la voglia di fare qualunque cosa, non lasciare nulla di intentato. Per mia natura non mi sono mai fidata di chi è troppo convinto di quel che sostiene, di chi non lascia spazio a dubbi, soprattutto in una scienza, quella medica, piena di diagnosi e convinzioni spesso errate. Di tentativi e passi falsi. E soprattutto ho sempre diffidato di chi non rispetta e riconosce l’operato dei propri colleghi che magari la pensano diversamente, ma con dei dati alla mano e con degli effettivi riscontri. Ancora non potevo saperlo, ma proprio la mia diffidenza, la voglia di ascoltare diversi pareri e approfondire ogni tematica si sarebbe rilevata la nostra salvezza: mia, della mia famiglia e della nostra bambina.
Non attesi l’amniocentesi inerme. Andammo a Roma per un incontro con il Prof. Nigro. Il suo nome sembrava legato a doppio filo al CMV in gravidanza: una vita spesa per studiare questo virus, tanti casi trattati con le immunoglobuline specifiche anti-CMV, tanti riscontri positivi. Non trovai nell’intero web neppure un commento negativo nei suoi riguardi. Mi convinsi che dovevo assolutamente anche io tentare questa strada, a qualunque costo e fidarmi di lui. Andai all’appuntamento e decisi di effettuare poco dopo una prima infusione nonostante ancora non fosse stata accertato il passaggio al feto del virus, in via prudenziale. Fortunatamente la mia assicurazione sanitaria coprì gran parte delle spese. Poi tornai a Milano con tanta speranza, attendendo il giorno dell’amniocentesi, che Nigro mi consigliò di anticipare (alla 19a settimana invece che alla 20a come stabilito dai virologi).
Nel duro percorso che ne seguì a Milano il mio caso fu preso in carico dei ginecologi della Mangiagalli specializzati in malattie infettive e per le indagini virologiche fui seguita al San Matteo. La visione era comune: non esiste una cura, solo fortuna. Presero nota, con una certa disapprovazione, del mio trattamento con le immunoglobuline.
Era passato un mese: un mese di notti insonni in cui leggevo e mi documentavo su tutto quello che avesse attinenza con il CMV in gravidanza: articoli, studi, dati statistici… Arrivò il giorno dell’amniocentesi. In cuor mio avevo un presagio negativo. Feci salire i miei familiari a Milano. Mi predisposi al peggio, nonostante la statistica fosse dalla mia parte. Il 30%, ci ripetevamo, solo 1 su 3 riceve una cattiva notizia in caso di CMV contratto in epoca precoce. Poco dopo l’esame, arrivò la telefonata del virologo del San Matteo. Senza fronzoli, né convenevoli, senza un ‘mi dispiace’, freddamente mi comunicò che il virus era passato al feto. ‘E la carica virale’? sperai che mi dicesse ‘bassa’ e invece mi disse: ‘alta, signora, alta’ 2 milioni di copie del CMV DNA. Poi incalzò ‘…e la cordocentesi? Si sottopone?’ Balbettai qualcosa…ero completamente scossa. Lui proseguì: ‘signora mi sembrava che ne avessimo già parlato un mese fa.’ Quando qualcuno ti pugnala con una notizia di questo tipo a me capita di non avere una pronta reazione. Così riagganciai senza palesare i sentimenti che provavo per il suo modo di agire. E comunque nonostante la forma, quantomeno discutibile, la sostanza non cambiava. Avrei affrontato in pochi giorni la risonanza magnetica fetale e la cordocentesi. Il calvario proseguiva.
Il 30 ottobre mi sottoposi alla prima RM fetale. La prima buona notizia: ‘non alterazioni focali o sicuri aspetti malformativi a carico delle strutture cerebrali, ma solo un modico ampliamento dei corni temporali e degli spazi periencefalici ero a poco più di 20 settimane di gestazione. Chiamai il prof. Nigro, mi rincuorò: in caso di RM senza malformazioni potevo proseguire la terapia con ottime possibilità che la bambina sarebbe stata sana grazie alle immunoglobuline specifiche anti-CMV. Tornai alla Mangiagalli. La ginecologa mi comunicò che nonostante al momento non si palesavano anomalie, questo non implicava che i danni cerebrali non si potessero manifestare successivamente. Il CMV era un nemico subdolo e le sue conseguenze nefaste potevano comparire tardivamente, al terzo trimestre di gravidanza, ed essere comunque gravi. Potevano, ma nulla era certo. Tuttavia c’era una data fondamentale che si avvicinava: la legge italiana non mi avrebbe consentito più, di lì a poco, di praticare l’interruzione volontaria di gravidanza a scopi terapeutici. La decisione doveva essere presa entro quella settimana. Sembrava tutto assurdo: come poter chiedere ad una madre di scegliere se far vivere il proprio figlio o meno? Già si tratta di una decisione lacerante se si è certi, perché si hanno comprovate evidenze, che il feto presenti delle gravi e invalidanti anomalie; diventa, invece, una scelta impossibile da prendere se il feto è al momento sano ma potrebbe non esserlo in futuro. E’ chiedere troppo a dei genitori: si rischia di impazzire. Dietro qualche pressione, decidemmo di effettuare anche la cordocentesi nella speranza che ci aiutasse a chiarire la situazione. Probabilmente speravamo in extremis in una notizia che addolcisse l’esito amaro dell’amniocentesi.
Il risultato della cordocentesi arrivò il 6 novembre. Questa volta a comunicarci l’esito fu la ginecologa della Mangiagalli di presenza: avevo espressamente richiesto così. Gli indici prognostici erano risultati tutti patologici (piastrinopenia fetale, incremento della beta-2 microglobulina, elevato valore di DNA e IgM nel sangue fetale). Sul referto fu scritto: ‘seppur la casistica non sia ampia, i neonati che mostrano tali valori nella vita endouterina hanno un’elevata possibilità di outcome sfavorevole’. La dottoressa poi prese un foglio e scrisse due numeri che io e il mio compagno non potremmo mai dimenticare: 98%. Questa era a dir loro la probabilità che mia figlia risultasse alla nascita malata. Ma non in maniera lieve, bensì riportasse gravi e invalidanti anomalie. Chiedemmo tra le lacrime cosa significasse ‘casistica non ampia’. Ci fu risposto 10 casi circa. Era chiaro che chi si sottoponeva alle indagini, e quindi non era contrario all’aborto terapeutico a prescindere, in caso di indici patologici, non proseguisse il percorso, soprattutto in assenza di una possibile cura prospettata e, dunque, si affidasse ai dati statistici portati a quel tavolo. Poi la ginecologa ci ricordò che l’interruzione di gravidanza, se avessimo voluto procedere, poteva essere effettuata solo entro il giorno successivo. Non c’era più tempo. Ci consegnò dei fogli per il ricovero. Tentò di avere un approccio umano, almeno, e ci congedò.
Tornammo a casa a piedi. Circa un’ora di camminata, mano nella mano, per darci forza. Poco prima di ricevere quest’ultimo esito, non mi ero augurata di ottenere un risultato favorevole, bensì di avere la forza per prendere la decisione giusta. Qualcuno mi ascoltò.
Alla fine della passeggiata avevamo la nostra scelta: avremmo proseguito il percorso fino in fondo. Credevamo negli studi di Nigro. Troppi tasselli non tornavano: Una decina di casi non ci sembrava un numero sufficiente per trarre conclusioni. E poi si trattava di 10 casi identici al mio? Avevano tutti avuto un esito favorevole alla risonanza magnetica? Avevano effettuato almeno un’infusione di immunoglobuline? Nessuno ce lo aveva specificato. Ci attendavano giorni duri, di controlli ed esami nella speranza che non si evidenziassero i primi danni al cervello e che il feto crescesse normalmente.
Tornai spesso a Roma nei mesi successivi per effettuare un totale di 8 infusioni di immunoglobuline specifiche anti-CMV somministrate ogni 2-3 settimane direttamente da Nigro, l’ultima a soli 15 giorni dal parto. Erano gli unici momenti in cui mi sentivo tranquilla. Potevo esprimere i miei dubbi, palesare la mia inquietudine ed essere ascoltata, capita e rassicurata. Le mie domande ottenevano risposte chiare e soprattutto oneste. Trovavo finalmente competenza, umanità e umiltà: tutto quello che ci si aspetta in una sala d’ospedale e che, purtroppo, non di frequente si trova.
Alla seconda RMN effettuata alla 25a settimana (fine novembre 2018) si manifestò chiaramente la presenza del virus sul feto. Si osservavano, infatti, nel cervello, a livello dei corni occipitali bilateralmente, la presenza di setti intraventricolari e una minima iperintensità della sostanza bianca in sede periventricolare. Ancora nulla di grave, ma era l’inizio della fine? La marcia del virus si sarebbe arrestata, come sosteneva Nigro, grazie alla somministrazione endovenosa di immunoglobuline specifiche anti-CMV, oppure di lì a breve la situazione si sarebbe evoluta in maniera disastrosa? Solo il tempo avrebbe fornito una risposta.
Anche all’ecografia successiva furono evidenziate cisti bilaterali a livello del ventricolo cerebrale posteriore di 7.9×8.5 mm a sx e 7.9x8mm a dx, ma nessuna calcificazione intracranica e la biometria fetale era nella norma.
Eseguii altre 2 risonanze magnetiche nei 40 giorni successivi, mi sottoposi ad innumerevoli ecografie in diversi ospedali: al Bambin Gesù, al Gemelli e persino in Francia. Ogni volta con il cuore in gola. Trattenendo le lacrime. Sentimmo pareri completamente contrastanti. Tutti gli specialisti, però, curiosamente, dissertavano sull’argomento con l’approccio di chi detiene la verità assoluta. Il mio compagno ogni volta mi ricordava di non farmi influenzare, di fidarmi della cura e di attenermi alle evidenze del momento e non ad eventuali proiezioni nefaste circa la progressione futura del virus. Ma era dura, durissima, quasi impossibile. Ero troppo vulnerabile.
Per riuscire a controllare il mio disordine emotivo, intrapresi in ospedale un percorso presso una psicologa che mi fu di estremo aiuto nel traghettarmi fino all’ultima risonanza magnetica, i primi di gennaio 2019, più consapevole e fiera delle mie scelte. Ero a meno due mesi dal parto. Ormai la pancia era notevole. L’esame sarebbe stato decisivo e avrebbe sciolto ogni dubbio sulla progressione del virus e sull’outcome atteso. Non dimenticheremo mai la telefonata del neuroradiologo del 9 gennaio 2019 che ci anticipava telefonicamente l’esito della risonanza: ‘nessuna progressione, la situazione è stabile’. Scoppiammo a piangere, per la prima volta di gioia. E fu l’inizio della nostra rinascita. Avevamo una certezza: la nostra bambina sarebbe nata e sarebbe nata priva di danni cerebrali.
Restava un unico nodo che solo alla nascita avremmo potuto sciogliere: l’udito. La sordità era un rischio ancora reale. Ma a noi non importava.
Il 6 Marzo 2019 è nata Flavia all’ospedale Mangiagalli di Milano da parto cesareo, suggerito da Nigro. Non mi sono separata da lei neppure un minuto nei 6 giorni di degenza che seguirono. Ci è stato chiaro sin da subito che ci vedesse e ci sentisse bene, ma abbiamo atteso comunque con grande tranquillità i risultati dei primi esami: tutti brillantemente superati. Inclusa l’ecografia cerebrale. Immediatamente la bambina si è attaccata al seno senza alcuna difficoltà riprendendosi dal calo ponderale. La sua pelle era rosea, il suo sguardo sereno.
Oggi Flavia ha un anno e mezzo, cammina, dice le sue prime parole, prova a mangiare da sola, è una bambina semplicemente perfetta. Allegra, forte e determinata, raramente incline al pianto. Continuiamo ad effettuare i controlli di routine, ma senza alcun timore. E’ il nostro amore, la nostra scommessa, la vittoria di mamma e papà e di tutti coloro che hanno creduto nelle nostre scelte e ci hanno sostenuto. Non mi vergogno a dire che se non avessi incontrato il Prof. Nigro, Flavia non sarebbe qui con noi e io avrei una ferita aperta impossibile da rimarginare. Lui ha salvato due vite strettamente collegate tra loro: la mia e quella della mia bambina.
Alle dimissioni dall’ospedale mi ha voluto incontrare la ginecologa della Mangiagalli che mi aveva seguito lungo tutto il tortuoso percorso. Era visibilmente felice per noi. Mi ha fatto i complimenti per il coraggio dimostrato e ha concluso che siamo rientrati ‘nel 2% dei casi fortunati’. Peccato non aver colto l’opportunità di riconoscere, almeno alla fine, che forse una cura per il CMV esiste. Ma sono certa che la vicenda non l’abbia lasciata indifferente: quando si sbaglia previsione credo che sia un segno di umiltà e intelligenza, non di vulnerabilità, riconoscerlo, senza vergogna.
Avrei dovuto fornire un feedback in prima persona al dipartimento di malattie infettive in gravidanza del San Matteo, ma non ero ancora pronta emotivamente. So per certo che l’eco del mio ‘outcome favorevole’ sia arrivato fino alle orecchie del virologo che ha seguito il mio caso; chissà se è stato così intellettualmente onesto da modificare i dati statistici proposti alle sfortunate gestanti. Confrontandomi tra l’altro con alcuni ospedali romani di indiscussa fama, sono venuta a sapere che la cordocentesi si propone solo a Pavia (quindi in Lombardia) e che le percentuali snocciolate in sede di primo colloquio, con particolare riferimento agli ‘indici prognostici’, sono una peculiarità del San Matteo, circoscritte a questo ospedale. Inoltre sia al Gemelli, sia al Bambin Gesù, gli specialisti incontrati mi hanno in entrambe i casi prospettato le possibili cure (immunoglobuline e cura con l’antivirale), specificando dove e come potervi accedere. Trovo questo approccio sicuramente più corretto, anzi l’unico da seguire per fornire alla paziente un set completo di informazioni, affinché si possa scegliere consapevolmente la strada da intraprendere.
Alla nona settimana della mia seconda gravidanza ho scoperto, dai prelievi del sangue di routine, di aver contratto un’infezione primaria da citomegalovirus.
All’ospedale in cui ero seguita hanno informato me e mio marito dei rischi e dei gravi danni al feto che questo virus può causare, dicendoci che non c’erano cure da poter effettuare e lasciando a noi la scelta tra un aborto entro la dodicesima settimana oppure un percorso con ecografie più ravvicinate ed amniocentesi alla ventesima settimana per valutare o meno la trasmissione ed in caso positivo i danni causati.
Dopo una profonda riflessione decidiamo di proseguire e tramite internet veniamo a conoscenza del Prof. Giovanni Nigro che a Roma pratica infusioni con immunoglobuline come terapia per il citomegalovirus in gravidanza; senza perdere tempo ho iniziato le infusioni all’undicesima settimana e proseguito così una volta ogni 2 settimane fino all’amniocentesi che fortunatamente è risultata negativa!
Successivamente ne ho fatte altre 2 ad un mese di distanza una dall’altra.
In tutto sono state 7 e non ho mai avuto alcun effetto collaterale.
La nostra bellissima Matilde è nata il 27 Aprile 2020, perfettamente sana, il virus non ha attraversato la placenta, è stata la gioia più grande mai provata; tenere sotto controllo l’incertezza e la paura per quasi 9 mesi non è stato semplice.
Non finiremo mai di ringraziare il Professor Nigro senza il quale le cure non sarebbero possibili e speriamo vivamente possano un giorno essere accessibili a tutti tramite il sistema sanitario nazionale.
Francesca Dondi